Porter e Kramer, nel 2011 “The big idea: Creating Shared Value“, affermavano che le aziende possono creare valore condiviso con politiche e pratiche che rafforzano la competitività dell’azienda, rispondendo nel contempo ai bisogni delle comunità in cui questa opera e alle sfide della società.

Oggi, 2017, Michael Porter afferma: «Sociale e ambiente devono entrare nel core business. L’opinione pubblica oggi vede le imprese come la causa di molti problemi sociali ed economici: bisogna cambiare questa percezione con modelli di business diversi, in cui alla generazione di profitto si affianchino benefici per la comunità e il pianeta.

Perciò le imprese ora devono cambiare mentalità, mettere a punto nuovi modelli di business, stabilire nuove prospettive dalle quali studiare il mercato e se stesse».

Cosa significa “valore condiviso”?

Significa occuparsi di una problematica sociale, di una sfida sociale, come quella dell’acqua, dell’alimentazione o della salute, e qualche volta ottenere anche un profitto. Deve essere concepito come un vero e proprio business, invece che come un atto di beneficenza o donazione. Bisogna trovare il modo di affrontare questi aspetti in modo profittevole. Il valore condiviso risiede in tutta la catena del valore (nei prodotti, nei clienti, nei fornitori, …) ma anche nelle istituzioni della comunità in cui è inserita l’impresa. Molte organizzazioni sono eccellenti nel soddisfare le necessità dei clienti tradizionali, ma se approfondissero il concetto di valore condiviso scoprirebbero enormi potenziali di crescita. Vedrebbero aprirsi nuovi mercati, nuove esigenze non ancora soddisfatte, nuovi modi di fare business, e per di più gestendo meglio l’impatto sull’ambiente e sulla comunità. Lo so che sembra incredibile, ma è così: il principale terreno per l’innovazione e la crescita non è né la finanza né la tecnologia, bensì le questioni sociali e ambientali.

Esempi di imprese leader che stanno affrontando il Creating Shared Value?

Un caso interessante è quello dell’industria farmaceutica. I laboratori hanno sempre costruitola loro fortuna servendo un numero molto limitato di clienti. Dato il loro modello di business, illoro livello di prezzi e le loro modalità di distribuzione dei prodotti, hanno sempre ignoratoquasi 6 miliardi di persone, le quali però avevano la medesima necessità di farmaci dichiunque altro. Le aziende farmaceutiche non hanno mai affrontato questa necessità, perchénon la consideravano un mercato reale. Ora, con la nuova mentalità, stanno guardandoquesto mercato potenziale sotto una nuova luce. Si rendono conto di averlo sottovalutato finoa ora. Questo nuovo modo di pensare implica un nuovo modo di fare lecose?Ovviamente sì. Quando Novartis iniziò a vendere farmaci nelle comunità rurali dell’India, si trovò di fronte un mercato composto da un miliardo di persone. Ma non poteva continuare adusare lo stesso sistema adottato per vendere farmaci in Svizzera, in Inghilterra o negli StatiUniti. In India non c’era un solido sistema sanitario, e tantomeno consumatori con un altolivello di educazione, cosicché Novartis ha dovuto inventare una catena di valorecompletamente nuova. Ma ha imparato molto, grazie a questa esperienza, potendopoi applicare  questi insegnamenti al suo business tradizionale. Paradossalmente una grandefonte di innovazione deriva da un contesto che è considerato terzo mondo, da cui nessuno avrebbe immaginato di poter ricavare modelli innovativi. Se guardiamo lo scenario globale, le più grandi opportunità di mercato derivano dai più grandi problemi che l’umanità deve risolvere. Durante questi ultimi 50 anni stiamo vivendo un momento di stabilità, nel quale abbiamo applicato modelli consolidati. Ora però questi modelli stanno perdendo validità: l’abituale e il conosciuto non funzionano più. E questo è un fatto molto positivo.

Quali sono le differenze tra il Valore Condiviso e la CSR, la CorporateSocial Responsibility?

La responsabilità sociale d’impresa consiste fondamentalmente nell’investire le risorse dell’azienda in azioni da buon cittadino, che significa per esempio riciclare i rifiuti, fare donazioni per cause sociali, aumentare la trasparenza e così via. Il valore condiviso invece si riferisce al “core business” dell’impresa, e richiede di gestirlo in un modo nuovo, richiede di inventarsi un nuovo modello di business, ma creare valore condiviso significa comunque creare profitto per gli azionisti. Perciò la differenza fondamentale è che, da un lato, si fa qualcosa di separato dall’attività primaria dell’azienda, destinando risorse a cause nobili. Dall’altro lato invece si integra la variabile dell’impatto sociale e ambientale nel core business stesso dell’azienda, mantenendo l’obiettivo finale di creare valore economico.

Il mondo delle imprese ha capito il concetto di valore condiviso?

C’è grande confusione. Le imprese confondono esattamente i due punti di cui sopra. Sostengono di star creando valore condiviso, ma ciò che realmente stanno facendo è togliere risorse dal proprio business per fare beneficenza. Non stanno incorporando l’aspetto sociale e ambientale nel core business. Ci sono enormi problemi nelle comunità di tutti i paesi del mondo, e manager e imprenditori fanno un’enorme fatica a trovare modi positivi per affrontare queste questioni. La chiave è farlo sfruttando la conoscenza del business, invece che mettendosi nelle vesti di benefattori e filantropi. Agendo come imprese e non come enti di beneficenza, sono la forza più potente che l’umanità ha a disposizione per affrontare le questioni ambientali e sociali. Tutto inizia con un cambio di mentalità, definendo il ruolo delle aziende nella società. Sempre più imprese stanno realizzando di poter giocare un ruolo più importante rispetto ai problemi sociali e nel contempo benefico per i propri risultati di bilancio. Non si tratta né carità né di patriottismo. Si tratta di far sì che il business funzioni in modo più efficace ed efficiente, con processi di creazione di valore condiviso.